Mentre l’intero settore attende con apprensione il momento in cui saranno banditi i cookie di parti terze, in molti si chiedono cosa ne sarà di targettizzazione, frequency cap e attribuzione così come li conosciamo ora. La risposta non è né semplice né lineare… ma ci stiamo arrivando.
Con una mossa che ha sorpreso pochi, Google ha annunciato a inizio anno che Chrome seguirà l’esempio di Safari e Firefox smettendo di supportare i cookie di parti terze.
La sorpresa arriva invece dalla reazione di alcune imprese a questa notizia.
Durante la colazione-briefing di gennaio dedicata ai publisher, uno degli argomenti della conversazione è stata la mancanza di chiarezza di alcuni messaggi dei venditori in merito al significato di questo annuncio e alle conseguenze per i publisher.
La politica dello struzzo
Chloe Grutchfield, co-fondatrice di RedBud, ha tentato di aprire la conversazione: “Cercherò di evitare le polemiche, quindi misurerò bene le parole.
Credo che, al momento attuale, ci sia una disinformazione dilagante nel mercato causata dalle piattaforme che dicono che va tutto bene, che i cookie di terze parti stanno scomparendo, ma va tutto bene. Che dicono di non preoccuparsi perché hanno una soluzione”.
I publisher presenti si lasciano scappare una risata sommessa.
David Hayter, Head of digital di The Stylist Group, era del tutto d’accordo, e racconta di essersi ritrovato nella casella e-mail una trafila di messaggi che rassicuravano: andrà tutto bene. Ha addirittura deciso di rispondere ad alcuni di questi messaggi.
La verità è questa: se il problema non risiede nella scomparsa dei cookie di parti terze, la fornitura pubblicitaria e i relativi introiti non dovrebbero essere un problema con Safari e Firefox. E invece lo sono.
Hannah Buitekant, Executive director digitale di Mail Metro Media, ha parlato dei limiti imposti da Safari sulle campagne dirette: “Si tratta di pratiche decisamente elementari. Non c’è molto margine di manovra.
Non sono ammesse verifiche di parti terze. Non si può abilitare il retargeting da un gruppo di dati di prima parte. I report, le misurazioni… tutto arriva con un impatto negativo”.
E i dati di prima parte?
Ammettiamo che la situazione per ora non sembra rosea, anche se ci sono alcuni segnali di speranza. Per i publisher, adottare un robusto metodo di raccolta dei dati di prima parte rappresenta un’opportunità per offrire un inventory di alto valore e un’esperienza utente personalizzata.
Oltre a questo, la fine dei cookie di terze parti offre la possibilità di un futuro più equo, e people-based, a vantaggio di publisher, advertiser e utenti.
L’anno scorso abbiamo iniziato a costruire un’infrastruttura per un Internet nuovo e più sicuro.
È inclusa una suite di strumenti che contribuiscano a fare in modo che publisher e brand accedano a uno scambio dei valori più aperto ed onesto con gli individui, permettendo ai publisher di attivare i dati di prima parte con modalità non invasive, rispettose della privacy e che ottemperino alle normative vigenti.
Abbiamo creato infrastrutture che permettono ai publisher di connettere utenti autenticati con la domanda programmatic senza necessità di cookie di parti terze.
Tutto questo porta a un ecosistema in cui gli utenti di un sito avranno una maggior comprensione dello scambio di valore con i publisher, in cui questi sono in grado di monetizzare la loro audience e in cui il marketing dei brand sia più efficace.
Per raggiungere questi risultati, però, ci si deve rimboccare le maniche.
I publisher dovranno agire subito integrando queste soluzioni nelle loro strategie programmatic. Contatta ora il tuo fornitore di soluzioni per l’identity resolution e inizia subito a prepararti per il futuro.