Nel suo ultimo rapporto, Forrester ha annunciato che l’importanza degli zero-party data sarebbe aumentata ancora di più viste le restrizioni di Safari e Chrome, i motori di ricerca più utilizzati nel quotidiano. Di terza parte, di seconda parte, di prima parte, e ora zero-party… di che cosa parliamo esattamente? Facciamo il punto della situazione su un data client volontario e di qualità che assume sempre più rilievo.
I dati first-party sono sempre la soluzione definitiva?
Per una customer experience digitale, fisica e phygital di alta qualità, i marchi non hanno scelta: solo i dati permettono di distinguersi. Tuttavia, nonostante i colossali investimenti in questa direzione, i dati di prima parte non dovrebbero più essere l’unico obiettivo delle loro acquisizioni e dei budget dedicati al marketing.
Infatti, i dati di prima parte sono essenziali, ma non decisivi, perché la raccolta di questo tipo ha troppi elementi ipotetici. Basati su dati comportamentali o di consumo, si tratta di più algoritmi e deduzioni che rappresentano esclusivamente delle probabilità, impossibili da provare veramente.
Sul web viene analizzato il percorso del cliente, archiviando i termini di ricerca e decifrando il comportamento online. Si possono così dedurre gli scenari delle intenzioni attraverso dati più o meno qualificati, ricavando solo ipotesi più o meno valide. Le strategie di personalizzazione tradizionali sono infatti più o meno fallaci e dimostrano, in ogni caso, i limiti del loro potenziale.
Confronto tra zero-party e third-party
Anche se i dati di terza parte sono di uso comune, ciò non significa che questi dati raccolti tramite metodi variegati siano dati di qualità che permettono di conoscere i consumatori alla perfezione. I dati di terza parte sono eccellenti soprattutto per raccogliere preziosi attributi demografici e comportamentali sui tuoi clienti e prospect.
Da questa raccolta di dati terzi nel contesto dei dati di terza parte, ne risulta automaticamente un marketing più generico che potrebbe nuocere alle performance delle campagne. In fin dei conti, i messaggi sono orientati peggio, il target definito in modo mediocre e le campagne presentano un minor grado di ottimizzazione.
Viceversa, i dati zero-party sono una vera manna, perché sono forniti dai consumatori in modo totalmente volontario. Questa condivisone è intenzionale e proattiva, e assume le forme di informazioni variegate, come le intenzioni di acquisti futuri, la situazione personale o ancora il livello di relazione tra il marchio e i consumatori.
Semplificando, paragonare i dati di terza parte e zero-party è come dover decidere tra qualità e quantità, al contempo valorizzando l’elevato livello di sicurezza e privacy.
Come recuperare gli zero-party data?
Con i diversi e ben noti scandali direttamente collegati alla mancanza di sicurezza dei dati, i consumatori sono oggi più scrupolosi che mai nel trasmettere i propri dati personali e le loro preferenze. Tuttavia, tutto il paradosso dei zero-party data viene dal fatto che non sono una deduzione del marketing, ma un intenzionale scambio di informazioni.
I retailer hanno così accesso a una quantità di informazioni che il cliente desidera divulgare per beneficiare di un’esperienza cliente qualificata e di un percorso di acquisto personalizzato. Senza metodi che forzino il cliente a divulgare le informazioni, o che le raccolgano in modo surrettizio, i retailer hanno a disposizione dei dati condivisi più volentieri e a volte anche in quantità superiore.
In questo modo, sicurezza e confidenzialità non sono più ai poli opposti, e i dati di prima parte permettono ai marchi di instaurare relazioni dirette con i consumatori per meglio personalizzare:
- i loro servizi,
- l’impegno nel marketing,
- le offerte e le raccomandazioni di prodotti.
Ma non è proprio così semplice. Il cliente non cede i suoi dati “gratuitamente”. In cambio, desidera beneficiare di un’offerta “speciale”. Ricompense, vantaggi personalizzati, buoni per sconti eccezionali… molti sono i modi per attirare l’utente.
Affidarsi agli zero-party data per ottimizzare la relazione con il cliente
Il marketing personalizzato e la relazione diretta con il cliente sono i vantaggi principali di questa nuova era dei dati. Con gli zero-party data, puoi dire addio a deduzioni, ipotesi e approssimazioni. La relazione marchio-cliente diventa una relazione di qualità.
Inoltre, il consumatore si interessa sempre più a questa relazione scegliendo scrupolosamente i marchi a cui affidarsi. Uno studio di KPMG del 2018 ha dimostrato che quasi un quarto dei francesi desidera questa relazione personalizzata.
D’altro canto, si può dire che i marchi possono sostenere questo impegno a occhi chiusi? I dati zero-party raccolti sono affidabili al 100%? Offrendo uno scambio di valore, c’è comunque il rischio che il cliente condivida informazioni non corrette. È uno scambio in cui guadagnano entrambe le parti, ma la collaborazione è basata sulla fiducia reciproca.
Come per ogni rapporto umano nel quotidiano, questa relazione puramente di marketing deve essere equilibrata per funzionare. Non esagerare con le richieste all’utente, offri sincerità e non “spingere” il consumatore a inventare informazioni pur di farti piacere. Fai attenzione a che la richiesta sia ben riflettuta, intelligente e sistematicamente all’altezza della ricompensa promessa.
Nell’era post-RGPD, unire un’esperienza cliente innovativa a un’elevata sicurezza è senz’altro la sfida di tutti i marchi. A tal fine, gli zero-party data possono essere una prima soluzione. Si tratta di una collaborazione marchio-cliente fondata sulla fiducia reciproca con specialisti del marketing che possono rapidamente raccogliere su larga scala i dati dei terzi senza spendere. E se iniziassi anche tu a elaborare una strategia per gli zero-party data? Possiamo aiutarti?