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Come valutare il customer journey – Le 4 domande da porsi sui dati

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Come molte altre cose nella vita, i customer journey un tempo erano molto più semplici: facevi conoscere ai consumatori il tuo prodotto o servizio, loro ci pensavano, facevano alcune ricerche e lo acquistavano. O almeno questo è quello che pensavamo facessero.

In realtà, i customer journey sono sempre stati molto più complessi di così. Indubbiamente, i media digitali hanno moltiplicato il numero di canali e punti di contatto esistenti, ma il vero motivo per cui i customer journey sembrano così difficili da capire è che il digitale ha anche migliorato drasticamente la visibilità che ne abbiamo.

Ora sappiamo che l’immagine dell’imbuto non è più sufficiente a capire cosa stia succedendo, e neanche quella del loop. D’altra parte, ormai i dati consentono a ogni brand di mappare il percorso di acquisto di ogni cliente. Purtroppo, non tutti i brand hanno accesso a questi dati, e anche coloro che vi accedono non sono sempre in grado di integrarli e analizzarli per comprendere meglio i propri clienti e ottenere le informazioni di marketing di cui hanno bisogno.

Quindi, prima ancora che tu ti chieda che aspetto hanno i tuoi customer journey, devi porti quattro domande fondamentali.

Quali dati servono?

Per mappare il customer journey, dovresti sapere con quali punti di contatto di marketing interagisce questa persona e in quale ordine. Inoltre, dovresti sapere quali altre fonti di informazione rilevanti consulta (recensioni, forum, ecc.) e, infine, cosa accade in ognuno di questi punti di contatto: se il cliente passa alla fase successiva del percorso o se scompare. E se scomparisse, sarebbe anche opportuno sapere se si ripresenterà in un secondo momento e, eventualmente, per quale motivo.

Come se non bastasse, dovresti anche sapere la cronologia di ciascun cliente in relazione al tuo brand. Si tratta di un nuovo cliente, di un cliente abituale o di uno di lunga data? Quanti acquisti ha effettuato con te e cosa ha comprato? Tutti questi fattori influenzano il loro comportamento per tutta la durata del percorso di acquisto.

Quali dati hai già a disposizione?

Le aziende che hanno un rapporto diretto con la propria clientela generalmente conoscono la storia delle loro transazioni, diversamente da coloro che vendono i propri prodotti tramite terzi, che spesso hanno meno consapevolezza in materia. Allo stesso modo, le aziende che vendono articoli costosi hanno di norma maggiori probabilità di raccogliere dati sui loro clienti rispetto a quelle che vendono prodotti a basso costo e a basso interesse, anche se i loro clienti sono molto fedeli al brand.

Inoltre, se consideriamo i diversi punti di contatto distribuiti lungo il percorso, è pressoché impossibile stabilire un legame tra il comportamento offline e quello online, anche se le cose stanno cambiando con l’integrazione di alcuni canali tradizionali nel mondo digitale. Pensa, ad esempio, alla segnaletica digitale e alla TV via cavo.

Diventerà inoltre sempre più difficile tracciare il comportamento online dei consumatori sul web aperto, poiché i cookie di terze parti (3PC) scompariranno presto. Uno dei problemi principali per i brand che fanno pubblicità attraverso i “walled garden” (Google, Facebook, ecc.) è la mancanza di trasparenza che questi giganti offrono in termini di report delle performance delle campagne e del comportamento dei clienti. Detto questo, sono disponibili sul mercato soluzioni come Safe Haven, per offrire una maggiore trasparenza e porre rimedio al problema.  

Dove sono conservati i dati? Si possono integrare senza problemi?

Spesso la quantità di dati a disposizione e quella utilizzabile non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. A causa delle strutture commerciali tradizionali e delle tecnologie esistenti, spesso i dati vengono archiviati in luoghi diversi all’interno dell’azienda. I vari reparti o team utilizzano sistemi diversi, rendendo impossibile la fusione di questi silos di dati. Il sistema CRM potrebbe benissimo non comunicare con il martech stack, ad esempio.

I team potrebbero anche non essere incoraggiati a condividere i loro dati al di fuori del loro silo. Potrebbero temere di perdere il loro status. Potrebbero essere valutati e premiati come team, piuttosto che come parte integrante dell’azienda. Inoltre, potrebbero temere di violare le norme sulla privacy qualora i dati venissero trasmessi tra diverse parti dell’organizzazione. Ovviamente, l’innovazione tecnologica è determinante in questo senso, ma senza un cambiamento culturale è inutile.

Inoltre, se diverse agenzie gestiscono i diversi canali di marketing, è possibile che non si parlino tra di loro e che non condividano i loro dati, se non in termini generali.

Come si possono trovare i dati necessari per soddisfare le proprie esigenze?

In un precedente articolo, abbiamo parlato dell’importanza di implementare una strategia dei dati a 360°. Quando sai quali sono i dati a tua disposizione e cosa devi fare per raccoglierli, puoi iniziare a pensare a quello che ti manca. 

Si tratta di una riflessione che va al di là dell’azienda. Hai dei partner che possono aiutarti a soddisfare le tue esigenze? Se negli ultimi anni la data collaboration ha acquisito un’importanza così significativa nel retail è perché consente ai brand dei beni di largo consumo (CPG) poveri di dati, di utilizzare i dati commerciali dei loro retailer partner, per capire meglio il comportamento dei loro clienti finali. Come afferma Allan McLuckie, Senior Online Analytics Manager di Colgate, in questa intervista, il problema principale che i brand dei beni di largo consumo devono affrontare con i dati di prima parte è la loro acquisizione. La possibilità di sfruttare i dati dei retailer per comprendere meglio il comportamento dei clienti rappresenta una straordinaria opportunità.

Con chi altro potresti collaborare? Potrebbe trattarsi di fornitori di dati specializzati, di publisher specializzati o di proprietari di media.

Ci sono tipi di dati a cui non stai pensando? Mentre i cookie di terze parti di Google stanno scomparendo, emergono nuovi metodi di targeting degli annunci. Dovresti pensare a cosa potresti imparare dal targeting contestuale, ad esempio, o dagli identificatori pseudonimizzati di terze parti? Oppure hai bisogno di lanciare un’operazione per aumentare la quantità di dati di prima parte che puoi raccogliere?

Qualunque sia la tua risposta a queste quattro domande, la cosa più importante è capire che, in termini di dati, nessuna azienda è isolata. Il futuro sta nella data collaboration tra organizzazioni, per non parlare della collaborazione all’interno delle organizzazioni stesse. Ed è su questo che ci soffermeremo nel prossimo articolo.