All’orizzonte incombe una grave minaccia per i publisher, e questo significa che i walled garden avranno ancora più potere. Per rimanere competitivi, i publisher devono agire subito, iniziando con una strategia per i dati di prima parte.
È risaputo che l’esistenza dei publisher è messa in pericolo da una minaccia incombente.
Con la morte dei cookie di terze parti, che dovrebbe verificarsi entro un paio d’anni, e con tutte le varie ondate di regolamentazioni sulla privacy, il destino è ormai segnato per targettizzazione, frequency cap, attribuzione e quindi per i ricavi del programmatic advertising come lo conosciamo ora.
Così è per chi si trova al di fuori dei walled garden. Quanto sopra, è necessario dirlo, avrà conseguenze molto più rilevanti sui publisher che sui walled garden. Il gioco non è certo equo: se lo fosse, la spesa pubblicitaria sarebbe distribuita in modo più uniforme.
Il disequilibrio dei walled garden
Il problema, già ora, è che la quantità di spesa pubblicitaria destinata ai walled garden supera la quantità di tempo che la gente passa nei walled garden.
Nel 2019, secondo eMarketer, Google, Facebook e Amazon hanno ricevuto più del 70% di tutta la spesa pubblicitaria, mentre gli utenti Internet vi hanno trascorso solo il 45% del tempo. Questo significa che gli advertiser e i brand si stanno perdendo moltissime occasioni di fare in modo che le pubblicità siano visualizzate da utenti interessati nell’Internet aperto.
Inoltre, se il disequilibrio aumenta ancora e i publisher non riescono nella loro impresa, tutti ne usciranno sconfitti, walled garden compresi: gli stessi portavoce di Google e Facebook ricordano spesso quanto sia importante anche per loro che i publisher riescano a sopravvivere. Ed è ovvio, visto che i contenuti che vengono consumati dagli utenti sulle loro piattaforme devono pur venire da qualche parte.
La forza dei dati di prima parte
È logico che i brand prediligano i walled garden, perché offrono una portata senza pari e sono facili da usare.
Eppure, sia a RampUp London 2019 sia alla recente colazione-briefing con i publisher, abbiamo sentito racconti molto simili: se i walled garden non possono essere battuti sulla quantità, i publisher sono più forti quando si parla di qualità dei dati.
Durante l’intervento “Ricostruire la relazione tra publisher e advertiser” a RampUp London, Craig Tuck, amministratore delegato di Ozone Audience at The Ozone Project, ha dichiarato: “Di recente guardavo il mio profilo Google, e a quanto pare sono un supporter della NFL e amo i gatti… Ma in casa mia non c’è neanche un gatto”.
Chloe Grutchfield, co-fondatrice di RedBud, ha aggiunto: “Io invece figuravo come un uomo appassionato di calcio”.
Craig ha continuato: “La sua portata ha una maggiore attrattiva per chi sostiene di avere molti dati interessanti più che per offrire pubblicità ad elevata efficacia”.
Ed è qui che i publisher possono mostrare la loro forza. I publisher hanno la capacità di connettersi direttamente con un’audience coinvolta. Quindi, con dei robusti metodi di autenticazione di prima parte, possono raggiungere livelli di precisione nella targettizzazione che permettono loro di essere più competitivi con i walled garden.
Questo si traduce in una migliore esperienza utente e in un’efficienza superiore per i brand.
Il valore dei dati viene moltiplicato anche quando vengono incrociati con i gruppi di dati di altri publisher, perché in questo modo si crea un quadro più completo per ciascun utente. Se qualche anno fa la relazione più comune tra publisher era un rapporto di competizione, ora il trend emergente è quello della collaborazione.
Questa tendenza si rivela in modo evidente nel crescente numero di alleanze instaurate tra publisher, come ad esempio Ozone, una collaborazione tra News UK, The Telegraph, The Guardian e Reach.
Durante la colazione tra publisher, Chloe ha dichiarato: “I publishers stanno collaborando per superare queste difficoltà. Non più, e non per forza, in competizione tra loro: lavorano insieme per tenere testa ai walled garden”.
È giunto il momento di una solida strategia dei dati di prima parte
Il conto alla rovescia continua imperterrito. L’entrata in vigore di framework quali il TCF 2.0 si avvicina velocemente, e sappiamo che abbiamo a disposizione meno di due anni prima che Chrome disattivi i cookie di terze parti.
La relazione di cui stiamo parlando, sia con il pubblico diretto sia con gli altri publisher, ha bisogno di tempo per essere nutrita. Prima iniziamo, più forte sarà questa relazione, maggiore sarà il vantaggio competitivo… e meglio si potrà monetizzare la propria inventory in un mondo privo di cookie di terze parti.